Gli anni 50 sono un periodo d’oro per gli USA. La fine della seconda guerra mondiale che decretò il predominio degli Stati Uniti a livello mondiale e il conseguente boom economico dal 1945 al 1964 fu la spinta di una imponente crescita demografica, la nascita di una intera generazione di cosiddetti “baby boomers”.
Nel nostro immaginario collettivo conosciamo bene questa generazione americana negli echi dei films hollywoodiani, nelle musiche, i divi, le grandi automobili, e per un modo di vivere della gioventù forse più innocente e spensierato, ancora lontano dagli estremismi dei successivi anni.
Risuonano gli echi del rock and roll di Elvis Presley e del boogie-woogie, le movenze sensuali di Marylin Monroe, le immense “parades” piene di coriandoli, bandiere e i primi drive-in.
Probabilmente conosciamo meno le contraddizioni e i mille contrasti di una giovane democrazia nel periodo che intercorre tra gli incubi della guerra fredda e della folle guerra nel Vietnam, tra dichiarazioni di libertà e la crescita di una egemonia globale, tra convenzioni manichee e gli aneliti di poesia, libertà e trasgressione della beat generation.
Ho ritrovato queste atmosfere in un locale nella periferia fiorentina. Entrando ci si immerge in un luogo nel quale le luci al neon, i dischi in vinile, le ubique bandiere orgogliosamente esposte, denotazione e connotazione dell’identità nazionale, i gagliardetti delle squadre di baseball, le prime pubblicità con le pin-up, l’abbigliamento dei camerieri, le gigantesche auto, tutto contribuisce alla verosimiglianza con le icone e gli stereotipi dei nostri ricordi.
Il pensiero torna quindi a un passato certamente non del tutto vero e molto idealizzato, come spesso capita di quando si pensa a tempi trascorsi della nostra infanzia, e si risveglia una piccola dose di nostalgia per una atmosfera di libertà e di spensieratezza.
Andrea Moneti 6 Febbraio 2014