“L' Habana Vieja è il cuore storico della città dell'Avana (Cuba), un quartiere densamente popolato e ricco di atmosfera che contiene oltre 900 edifici storici dei più svariati stili, dal barocco all'art deco. L'Havana Vieja cade letteralmente a pezzi, i palazzi crollano, nonostante sia stata dichiarata dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità e sia stato varato un grandioso piano di restauro. Un quartiere che è anche simbolo di un paese in ginocchio.”
Nella presentazione del portfolio di Giulio Brega è ben espresso l’intento documentario che sottende il suo lavoro. Nel suo svolgimento questo intento diventa tuttavia sempre più poetico e si evidenzia un punto di vista intimo e personale.
Le immagini si susseguono lungo una strada, gli ambienti ci mostrano una povertà dignitosa, la condizione di abbandono dei luoghi e retaggi dell’orgoglio del popolo cubano.
Che Guevara nella memoria collettiva è simbolo della lotta contro la dittatura e come tale la potenza dell’evocazione della sua immagine iconica poteva rischiare di far assumere all’opera una prospettiva stereotipata. Tuttavia Giulio ha utilizzato tali tracce per rappresentare, come in un ritratto, lo stato d’animo di un luogo, utilizzando la metafora del viaggio: al termine del percorso l’immagine del vecchio e del ragazzo ben si presta a chiudere il cerchio dell’opera, ponendo i suoi estremi in un continuum che va dall’utopia alla realtà.
Ho avuto il piacere di presentare questo lavoro anche con un breve racconto, che vi riporto di seguito.
QUESTO il link al video pubblicato da Giulio su Vimeo.
D’improvviso i suoi occhi si illuminarono, passando di fronte a quel ritratto sul muro.
— Hasta la Victoria, Siempre! — esclamò, e d’un tratto cominciò a raccontare: — dónde está el corteo, chico ? Siamo in ritardo? E’ già passato? Adelante, la gran fiesta ci aspetta!
— Sai, proprio qui si è fermato Ernesto, da una delle sue donne... proprio in quella porta... Que hombre! Muy fascinante... impossibile resistergli!
Una rinnovata energia spingeva il vecchio a camminare più veloce. Percorrendo le strade quasi deserte continuava a parlare, puntando il suo bastone come una bacchetta magica, indicando una finestra, una porta, il cielo...
Ai suoi occhi gli edifici abbandonati si animavano, i negozi diroccati e le finestre chiuse si affollavano di persone vestite con colori sgargianti, intente a sventolare fazzoletti colorati in direzione del corteo che si dirigeva all’ esplanada del Capitolio tra due colonne di folla urlanti e danzanti.
Le auto rombanti brillavano al sole riflettendo sui muri le loro scintillanti carrozzerie, musica, sorrisi e gioia nell’aria.
— Chico, è finita! Abbiamo vinto! Batista è fuggito! Hasta la Victoria!
Quel ricordo presto si affievolì e i suoi occhi tornarono a spegnersi. Ripiegandosi sul suo bastone ricominciò tornò a camminare lentamente, bofonchiando parole incomprensibili. D’intorno, malinconia e desolazione occuparono nuovamente lo spazio del tempo presente.
Sì, lo so, nonno. Mi hai raccontato questa storia mille volte, durante la nostra passeggiata quotidiana. Ma te ne prego, raccontala ancora e ancora, ogni giorno, non mi stancherò mai di ascoltarti.
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Era il gennaio del 1959 quando Ernesto Che Guevara e Fidel Castro raggiunsero l’Avana sancendo la vittoria della rivoluzione.
Andrea Moneti - Novembre 2016